Hotel Lungarno & Borgo San Jacopo: A Reflection of Florence on the Arno by Ponte Vecchio

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C’è una Firenze che si rivela lentamente, lontano dal rumore dei flussi turistici, fatta di riflessi sull’acqua, silenzi misurati e gesti impeccabili. È la Firenze dell’Hotel Lungarno, affacciato sull’Arno come un osservatore discreto, custode di un’eleganza senza tempo che dialoga con la città attraverso luce, arte e ospitalità.

A pochi passi da Ponte Vecchio, l’hotel — parte del mondo Lungarno Collection — è un rifugio intimo e sofisticato, dove ogni dettaglio racconta una visione precisa del lusso: mai ostentato, sempre sensoriale. Le camere si aprono sul fiume come quadri in movimento, mentre gli interni, punteggiati da opere d’arte e materiali pregiati, restituiscono un’idea di Firenze colta, raccolta, profondamente contemporanea.

È in questo contesto che prende forma l’esperienza gastronomica del Borgo San Jacopo, ristorante stellato che affaccia sull’Arno del Ponte Vecchio e che trasforma la cena in un racconto fatto di memoria, tecnica e intuizione.


LO CHEF

Alla guida della cucina c’è Claudio Mengoni, chef dalla visione nitida e personale, capace di muoversi con naturalezza tra classicismo e contemporaneità. La sua è una cucina di equilibrio e profondità, dove ogni elemento trova senso solo in relazione agli altri. Mengoni lavora per sottrazione, cercando precisione, pulizia e una tensione costante tra mare e terra, acidità e comfort, memoria e sorpresa.

Il risultato è un linguaggio gastronomico maturo, mai autoreferenziale, che mette al centro la materia prima e l’esperienza dell’ospite, accompagnandolo in un percorso misurato, elegante, mai gridato.


IL BENVENUTO DELLO CHEF

Il viaggio inizia con un benvenuto composto da cinque piccoli elementi, una sorta di ouverture che anticipa i temi della cena: equilibrio, contrasto, ritmo.

Si apre con un branzino marinato, delicato e luminoso, servito con una riduzione di mela verde che ne accentua la freschezza, completato da caviale di aringa, nota salina e sottile, quasi sussurrata.

Segue una tartelletta salata, poggiata su una mousse di zucca vellutata; sopra, ricciola marinata con soia e miele, che aggiunge profondità aromatica e una speziatura lieve, inattesa, capace di restare.

Il cracker arriva come un gioco di consistenze: cremoso di pinoli, prosciutto d’anatra e due sottili fettine di kumquat, che portano un accento agrumato e raffinato, rompendo la grassezza con eleganza.

La crocchetta di baccalà fritta, dorata e fragrante, è arricchita da polvere di alga e una riduzione di limone che ne alleggerisce il morso, evocando immediatamente il mare.

Chiude il benvenuto una tartelletta cacio e pepe, con un cuore di caprino fresco, crumble di prosciutto di Parma e una semisfera di ’nduja: un boccone intenso, calibrato, che unisce Roma e Sud, tradizione e carattere, lasciando una traccia decisa prima di aprirsi al menu.


L’ESPERIENZA A TAVOLA

La Fassona è un incontro armonico tra terra e mare: battuta di manzo con ostrica scottata, sedano, vermouth e rafano. Le zeppole alle alghe aggiungono una nota marina giocosa, creando un piatto complesso ma leggibile, di grande finezza.

Le Lumachine raccontano un Mediterraneo profondo: ricci di mare, alici alla colatura, ventresca di tonno stagionata e coulis di pomodoro giallo. Sapidità, dolcezza e iodio si intrecciano in una composizione determinata e stratificata.

Il Rombo chiodato è essenziale e impeccabile: puntarelle, mandorle e prosciutto di Parma accompagnano il pesce senza sovrastarlo, in un gioco di amaro, croccantezza e sapidità misurata.

L’Agnello, lombo in crépinette con carote, spinaci e salsa cacciatora, riporta al comfort della tradizione, filtrato da una mano contemporanea che privilegia precisione e pulizia.

Il finale è affidato a Essenza di limone: semifreddo al limone, cremino alle nocciole e salsa al rosmarino e ginepro. Un dessert aromatico, persistente, più evocativo che dolce, che chiude il percorso con leggerezza e memoria.


FIRENZE, A RITMO LENTO

Cenare al Borgo San Jacopo significa concedersi il lusso del tempo. L’Arno scorre accanto ai tavoli, le luci della città si riflettono sull’acqua, e Firenze sembra rallentare, diventando parte silenziosa dell’esperienza.

All’Hotel Lungarno l’ospitalità è un’arte silenziosa, fatta di attenzioni misurate e di un dialogo costante con il fiume. Gli spazi comuni — dalla lobby al celebre Picteau Lounge Bar — sono pensati come salotti cittadini affacciati sulla scia del fiume, luoghi in cui fermarsi, osservare, ascoltare il ritmo lento dell’acqua e della città. Qui il tempo sembra dilatarsi, invitando alla contemplazione più che al passaggio.

La collezione d’arte, curata con sensibilità quasi museale, accompagna l’ospite lungo corridoi e stanze come una narrazione parallela: opere del Novecento, fotografie e pezzi iconici dialogano con arredi essenziali e materiali caldi, creando un equilibrio sottile tra memoria e presente. È un lusso che non cerca mai l’effetto, ma costruisce un’atmosfera: intima, colta, profondamente fiorentina.

Soggiornare qui significa abitare Firenze dall’interno, viverla non come scenario ma come esperienza quotidiana: al risveglio, con la luce che accarezza l’Arno; al rientro, quando la città si riflette nell’acqua e il silenzio prende il posto del giorno; un invito a vivere la città da una prospettiva intima e privilegiata, dove il vero lusso è l’equilibrio tra luogo, gesto e sapore.

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